Marchi collettivi e marchi di certificazione geografica
Con l’attuazione della direttiva UE n. 2436/2015 ad opera del D.Lgs. 20 febbraio 2015, n. 20, in vigore dal 23 marzo 2019, sono state introdotte alcune novità in materia di marchi d’impresa.
Particolarmente interessante è l’introduzione del “marchio di certificazione” (art. 11-bis del CPI) che affianca la figura del “marchio collettivo” già previsto dall’ordinamento italiano (art. 11 CPI) ora con alcune modificazioni.
Rispetto alla normativa comunitaria sui “marchi di certificazione”, la normativa italiana si distingue per la possibilità di certificare l’origine geografica di prodotti o servizi. Tale peculiarità costituisce elemento distintivo rispetto anche alla disciplina dei marchi d’impresa individuale, i quali sono soggetti alle regole di cui all’art. 13 CPI.
Marchio collettivo e marchio di certificazione: peculiarità e differenze
Riguardo agli elementi di differenziazione tra il “marchio collettivo” e il “marchio di certificazione”, principale elemento di distinzione sta nell’elenco dei soggetti legittimati a chiederne la registrazione.
Possono essere titolari di marchi collettivi “Le persone giuridiche di diritto pubblico e le associazioni di categoria di fabbricanti, produttori, prestatori di servizi o commercianti, escluse le società di cui al libro quinto, titolo quinto, capi quinto, sesto e settimo, del codice civile”. Nel caso in cui il marchio collettivo consista “in segni o indicazioni che nel commercio possono servire per designare la provenienza geografica dei prodotti o servizi. Qualsiasi soggetto i cui prodotti o servizi provengano dalla zona geografica in questione ha diritto sia a fare uso del marchio” (c.d. “principio della porta aperta”), se sono soddisfatti tutti i requisiti di cui al regolamento.
Detto regolamento costituisce ulteriore elemento tipico del marchio collettivo rispetto al marchio d’impresa individuale. Scopo del primo è infatti quello di collegare il marchio ad un gruppo di soggetti che realizzino prodotti o servizi sulla base di regole comuni, di standard condivisi, di cui peraltro il gruppo si fa garante, e che sia idoneo ad informare il pubblico delle particolari caratteristiche qualitative dei prodotti contrassegnati con detto marchio.
In questo sta la forza dei marchi collettivi (e di certificazione) nel rappresentare al pubblico una situazione di garanzia capace di fidelizzare e rendere maggiormente consapevole l’utente finale circa il prodotto/servizio contraddistinto, rendendolo “riconoscibile” da quest’ultimo.
Il regolamento dovrà accompagnare il deposito della domanda di registrazione del marchio collettivo e dovrà prevedere un disciplinare, delle regole di utilizzo, dei controlli e sanzioni per violazioni riscontrate, commesse dai partecipanti del gruppo. La mancanza di controlli e sanzioni ovvero il loro mancato esercizio costituisce causa di decadenza ex lege dal marchio.
Per effetto delle modifiche del 2019 i soggetti costituiti non in forma associativa ovvero quelli costituiti in forma associativa che tuttavia non facciano applicazione del principio della “porta aperta”, potranno divenire titolari di marchi di certificazione, non più di marchi collettivi.
L’art. 11-bis delinea la figura del marchio di certificazione, per cui “Le persone fisiche o giuridiche, tra cui istituzioni, autorità ed organismi accreditati ai sensi della vigente normativa in materia di certificazione, a garantire l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi, possono ottenere la registrazione per appositi marchi come marchi di certificazione, a condizione che non svolgano un’attività che comporta la fornitura di prodotti o servizi del tipo certificato.
I regolamenti concernenti l’uso dei marchi di certificazione, i controlli e le relative sanzioni devono essere allegati alla domanda di registrazione […].
In deroga all’articolo 13, comma 1, un marchio di certificazione può consistere in segni o indicazioni che nel commercio possono servire per designare la provenienza geografica dei prodotti o servizi. In tal caso, peraltro, l’Ufficio italiano brevetti e marchi può rifiutare, con provvedimento motivato, la registrazione quando i marchi richiesti possano creare situazioni di ingiustificato privilegio o comunque recare pregiudizio allo sviluppo di altre analoghe iniziative nella regione. L’Ufficio italiano brevetti e marchi ha facoltà di chiedere al riguardo l’avviso delle amministrazioni pubbliche, categorie e organi interessati o competenti. L’avvenuta registrazione del marchio di certificazione costituito da nome geografico non autorizza il titolare a vietare a terzi l’uso nel commercio del nome stesso, purché quest’uso sia conforme ai principi della correttezza professionale.” (così, analogamente anche per il marchio collettivo).
La dimensione della tutela del marchio e potenzialità d’impiego
Dall’esame della normativa risulta ampliata la sfera di tutela del marchio che copre non solo la funzione di indicazione della provenienza imprenditoriale dei prodotti o servizi ma quale strumento di comunicazione a tutto tondo, fino all’evocazione, vale a dire “alla situazione che si verifica ogni volta che il pubblico possa istituire un “nesso” tra il segno dell’imitatore ed il marchio imitato”[1], tutela che si estende a tutte quelle ipotesi in cui l’imitatore possa trarre un indebito vantaggio ovvero arrecare un pregiudizio al marchio imitato.
La normativa sui marchi collettivi geografici può coordinarsi con quella relativa alle denominazioni geografiche, stante il loro progressivo avvicinamento, per cui pare di poter concludere per l’assoggettabilità alla tutela di entrambe per uno stesso marchio.
I marchi collettivi e di certificazione sono una grande risorsa per tutelare e valorizzare al meglio i prodotti tipici o servizi del territorio, proiettando la dimensione “locale” di quest’ultimi entro la sfera di una economia globale, soprattutto rispetto a quei Paesi nei quali non esistono normative simili a quella delle denominazioni geografiche ed altresì quale tecnica di contrasto al fenomeno dell’ “Italian sounding”.
Sulla conversione di marchi anteriori alle modifiche del 2019
L’art. 33 del D.lGs. 15/2019 dispone che entro un anno dalla data di entrata in vigore della nuova normativa, i marchi collettivi in corso di validità registrati sulla base della normativa precedente dovevano essere convertiti o in marchio collettivo secondo la nuova normativa ovvero in marchio di certificazione a pena di decadenza.
Nei casi in cui non si sia provveduto a presentare domanda di conversione entro il suddetto termine, il marchio non convertito potrà essere oggetto di nuova domanda di deposito secondo la normativa vigente.
A cura del Dott. Marco Accardo
[1] Così C. GALLI, Marchi collettivi, marchi di certificazione, marchi individuali ad uso plurimo e denominazioni geografiche dopo le novità normative del 2019, in rivista Il Diritto industriale, fascicolo n. 1, Milano, Wolters Kluwer, 2020, pp. 97-98.