“Heritage” come identità storica del brand e come l’AI (Artificial Intelligence) può intervenire sull’archivio di moda, è stato il tema centrale di un bellissimo evento/ workshop a cui lo Studio legale è stato invitato a Verona nella magnifica cornice di Museo Casa Maffei, evento dal titolo “Past, Present, HERITAGE. Dall’archivio storico al contributo del digitale e dell’AI per la valorizzazione del patrimonio identitario del brand.”
Hyphen Group ha raccolto in questo evento, i più grandi Player della moda portando un panel di eccezione ad interrograsi sul valore e importanza dell’archivio storico della Maison di moda, reinterpretenadolo alla luce delle nuove esigenze e possibilità tecnologiche.
Dunque, “Heritage” può essere sinomino di “archivio storico” e “patrimonio culturale”?
Pur riferendosi allo stesso campo semantico, infatti, i due termini non significano esattamente la stessa cosa. Suggeriscono due approcci metodologici guidati da diverse prospettive. La matrice dei due termini ci fa capire come “hereditas”si riferisca più specificamente al processo di ereditare, mentre “patrimonium” arriva dopo l’accettazione dell’eredità, alludendo più al valore economico.
Lo spostamento terminologico verso l’heritage non è affatto neutrale: è l’ “azione dell’uomo” a risultare predominante in questo processo, più che l’oggetto. In questo senso, se da un lato il termine heritage, in quanto più vago, permette di tenere dentro una serie di eredità fluide provenienti dal passato, dall’altro, riferendosi più a un processo che a una serie di “cose”, suggerisce un certo tipo di rapporto “mobile” con il presente, rapporto che non necessariamente deve essere a senso unico.
Archivio, museo e collezione sono cose diverse, raccolgono oggetti con modalità e finalità diverse, per un “pubblico” diverso e collocandosi in temporalità diverse.
Come sostiene Lauwaert: il museo richiama l’attenzione su ciò che rischia di scomparire. L’archivio preserva ciò che rischia di essere dimenticato. É un duplice movimento di rifiuto e raccolta , di negazione e riconoscimento. Potremmo quindi dire che l’archivio, nel suo uso conservativo, precede il museo. La definizione di archivio è già di per sé un problema che negli ultimi anni si è posto in varie forme, anche per via del cambiamento epocale portato dal digitale e la conseguente smaterializzazione dell’archivio.
Rimane, però, presente e viva l’idea che la moda, per essere accolta in un museo, ha avuto e ha ancora bisogno di definirsi “alta”, sia definendosi “haute couture”, sia ponendosi in relazione a forme artistiche già considerate elevate. Questa concezione ha fatto sì che, per lungo tempo, si è ritenuto che dovesse esserci un sufficiente scarto temporale tra la moda da esporre e il tempo dell’esposizione, tale che essere lontana dalla dimensione economica e dalle contingenze del mercato.
Le specificità dell’archivio di moda riguardano vari ambiti: in primo luogo, l’eterogeneità dei materiali e dei fondi, che corrispondono a diverse fasi della progettazione e produzione. Fotografie, immagini, pubblicità, video; stampa (per ricostruire immagine e storia, percorsi e contesti); tessuti; che si presentano sotto svariate forme, che raccontano la storia stilistica e tecnologica del tessile; i disegni, l’archivio prodotto: capi e accessori, progetti speciali, pezzi unici.
La moda, per la sua natura complessa e ibrida, necessita di specifiche modalità classificatorie che ne ricostruiscano la multidimensionalità. Solo la raccolta di dati completi che vadano dalla progettazione del singolo elemento alla sua realizzazione tecnica, attraverso la conoscenza dei materiali costitutivi fi no alla fruizione finale e la possibilità di raffronto e verifica per l’ampia concentrazione della raccolta, possono permettere analisi e interpretazioni veritiere, aderenti alla complessa realtà che ha prodotto la testimonianza. La scomparsa o la trascuratezza di uno o più di questi aspetti, non può che incidere negativamente sull’utilità del dato come momento costruttivo dell’analisi, portando a conclusioni difettose o arbitrarie.
L’interazione con il digitale esaspera proprio la concezione fluida e mobile dell’archivio, aumentandone a dismisura la dimensione frammentaria e la sua “combinabilità”. L’archivio digitale è un sistema estremamente flessibile il cui contenuto è costantemente ricontestualizzato: è un’esistenza dinamica e incontinuo cambiamento.
In questo senso la doppia natura dell’archivio va più verso la componente generativa, più che conservativa.
Non solo la digitalizzazione dell’archivio con metodologie più avanzate, software di raccolta dati e aggregazione porta, dunque, un vantaggio nella tenuta e conservazione del patrimonio dei brand che può essere tramandata, letta, interpretata ed esposta anche in forma digitale, ma con l’introduzione dell’Intelligenza Artificiale può modificarsi anche l’approccio alla classificazione e della ricerca archivistica. Le relazioni tra “cose” in archivio, fino ad ora, venivano trovate e valorizzate dal lavoro delle persone che sceglievano approcci diversi e criteri più giusti e appropriati all’esigenze contigenti del brand e delle collezioni.
Adesso l’AI si inserisce in un lavoro di “produzione”, “editing”, “adattamenti” da un lato e dall’altro “ricerca”, “riconoscimento” e”relazioni”, permettendo al concetto di heritage di espandersi fino fondere insieme sia quello di hereditas storica ed identitaria del brand, sia quello di archivio più tecnico (non solo storico che preclude la scelta dei musei d’impresa) che permetta di tenere traccia di tutto quello che si crea in azienda tra passato e presente, tra alta moda e moda commerciale.
Dati e archivio accessibile in tempo reale. Questo impone riflessioni importanti, però, sulla scelta dei modelli di AI, (pubblici o privati) , sulla base dati, sulla protezione dei marchi, brevetti, disegni , modelli, know-how, ovvero tutta l’ampia e sfaccettata categoria delle diritti di proprietà intelletuale. Questa tutela, ora più che mai, passa secondo noi, dalla corretta e profonda comprensione degli strumenti innovativi e tecnologici ai quali si affidano, che impone una valutazione dei modelli di AI, degli algoritmi di machine learnig, della cybersicurezza.
Si impone, dunque, per i brand una attenta valutazione dei software di gestione che saranno individuati per i propri archivi al fine di non commettere errori di tutuela del proprio patrimonio identitario, come asset, sì intangibile, (nella forma dei dati e non nella fisicità degli oggetti), ma sempre oggetto di un enorme valore economico e reputazionale.
Questo perchè i brand usano l’heritage principalmente in due direzioni che corrispondono alle diverse anime dell’archivio: da un lato, un uso interno alla filiera, recuperando pezzi iconici per citazioni, ispirazioni, riedizioni; dall’altro proiettando il patrimonio verso l’esterno, in un’ottica di promozione e narrazione.
In quest’ottica di “messa in heritage”, infatti, è evidente come la moda assuma valore non più solo per le sue qualità visibili e materiali, ma anche per tutto ciò che è connesso al sistema, i processi che lo hanno creato, le tecnologie che lo hanno reso possibile, e i sistemi economico e sociali che lo hanno supportato. Il museo di impresa, come passo successivo e possibilmnete conseguenziale lo rende tangibile e lo rimette in circolo, rafforzato di senso e di valore simbolico, anche nella dinamica dei consumi.
Il Brand ha molto in comune con il mito: condivide con esso diversi elementi come l’identità, simbolismo, differenziazione e valore esperenziale (heritage marketing), pertanto, ancorare il marchio e i prodotti a un’eredità storica, un patrimonio collettivo, risulta una strategia fondamentale per enfatizzare quella parte di verità del prodotto che lo sedimenta nella società.
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